Il ricorso al contratto di appalto di servizi per lo svolgimento di particolari lavorazioni da parte di aziende, piccole e grandi, per far fronte a esigenze strutturali (o temporanee) è un delicato tema di attualità.
L’appaltatore è colui che assume, con organizzazione dei mezzi e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio dietro corrispettivo in denaro.
Nel contratto di somministrazione di lavoro, invece, un’agenzia autorizzata e iscritta ad apposito albo presso il Ministero del lavoro si obbliga a mettere a disposizione di un utilizzatore propri dipendenti, affinché svolgano la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore medesimo.
Nella pratica, l’appalto di servizi è spesso utilizzato in maniera impropria, al fine di aggirare gli onerosi (non solo economicamente) vincoli imposti dalla costituzione di un rapporto di lavoro dipendente e/o dalla normativa in materia di somministrazione di manodopera.
I benefici della c.d. esternalizzazione sono noti: ottimizzazione dei costi; possibilità di affidare lo svolgimento di servizi strategici a imprese altamente specializzate, mancata assunzione diretta di personale; trasferimento su un terzo dei rischi derivanti dall’attività.
L’individuazione di una linea di demarcazione tra appalto e somministrazione di manodopera rileva ai fini giuslavoristici (soprattutto per il rischio di costituzione di un rapporto di subordinazione con il personale impiegato) e ai fini fiscali, in quanto la somministrazione di manodopera comporta l’indetraibilità dell’Iva e l’indeducibilità dell’Irap.
Un appalto di servizi considerato non genuino viene qualificato come somministrazione illecita di manodopera, portando quale conseguenza per l’impresa l’obbligo di assunzione del personale utilizzato e l’applicazione di sanzioni.
Secondo la giurisprudenza di legittimità la linea di demarcazione è (astrattamente) chiara: un appalto di servizi è genuino quando “all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa”; mentre si ha un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente” (ordinanza n. 12551/2020, Corte di Cassazione, sez. Lavoro).
Nel concreto, tuttavia, la distinzione non sempre è agevole. Per questo, occorre affidarsi a competenze specifiche.
Forence Avvocati è in grado di garantire il supporto necessario anche in queste fasi.
Diamo peso alle tue ragioni, anche nel campo del diritto del lavoro.
Filippo Tallia
